Conosco già l’obiezione principale, ma come si fa ad
invitare gli italiani ad investire all’estero, cosa succederebbe se lo
facessero tutti?
Risolviamo quindi, per prima cosa, questa obiezione.
Innanzitutto vale la pena di ricordare che ad ogni persona
che lavora in Italia è concessa la facoltà di scegliere dove investire i propri
risparmi, ciò dà ai cittadini un grosso potere contrattuale, se gli
intermediari vi offrono prodotti ad alto costo e basso rendimento andatevene. Se tanti italiani, ad esempio, valutassero i
PIR di recente introduzione un pessimo affare e pochi o nessuno li
sottoscrivesse si creerebbe la spinta ad offrire condizioni migliori, o a fare
lobbing da parte degli intermediari per renderli obbligatori.
Anche alle imprese italiane è offerta la medesima
possibilità, solo più in grande, con effetti maggiori, per motivazioni meno
degne di tutela rispetto alla difesa del risparmio individuale e con maggiori
danni sul bilancio del nostro Paese. Ad esempio se un’azienda esistente solo
grazie a miliardi di sovvenzioni dirette e indirette da parte dello Stato italiano
decide di spostare la sede a Londra o a Amsterdam, allo scopo principale di
pagare meno tasse, sarebbe tutto regolare mentre se un addetto al D9 in una
cava di pietre investe in Irlanda o in Bulgaria 15mila euro di liquidazione è
uno scandalo, una minaccia al Paese?
Ma cosa succederebbe se lo facessero in tanti? Il Paese
sarebbe costretto a reagire e non essendo prevedibili, al momento, limitazioni
alla mobilità dei capitali, dovrebbe reagire offrendo prodotti finanziari
migliori ed a costi inferiori, il che non mi appare un grande danno.
Ed ecco, suppergiù in ordine di importanza, i 10 ottimi
motivi per cui chi lavora in Italia non dovrebbe investire un centesimo nel
nostro Paese
1-
Diversificare, diversificare, diversificare
E’ davvero l’ABC del risparmiatore, non si mettono tutte le
uova nello stesso paniere, non si mettono tutti i risparmi sullo stesso titolo,
non ci si gioca il proprio futuro scommettendo tutto su un solo Paese, una sola
azienda, un solo settore. Diversificare in maniera saggia consente di limitare
i rischi, di limitare le eventuali perdite e di ritrovarsi comunque qualcosa in
cassa.
Ho scoperto, con una certa sorpresa, che anche investitori
non del tutto impreparati trascurano un aspetto assolutamente fondamentale
quando valutano la diversificazione del proprio portafogli, ovvero la presenza
di un risparmio obbligato sotto forma di contribuzione previdenziale. Il
risparmio previdenziale è infatti legato in maniera strettissima all’andamento
futuro dei conti del Paese, se un risparmiatore decidesse di investire tutto il
suo gruzzolo in titoli di Stato italiani ed il nostro Paese dichiarasse
bancarotta questo risparmiatore si troverebbe a non avere più una pensione e a
non avere più neanche i risparmi, una situazione davvero poco invidiabile.
Un esempio sarà certamente più chiaro.
Un lavoratore single che percepisce poco più di 20mila euro
annui e che riesce a risparmiarne 5mila decide di allocare il 50 per cento del
proprio risparmio in Italia ed il resto all’estero, 2.500 in Italia e 2.500
all’estero. Questo lavoratore trascura però il fatto che quasi metà del proprio
stipendio netto, un terzo del proprio stipendio lordo, la somma di circa 10mila
euro è già stata investita per lui. I contributi pensionistici che andranno a
formare il suo montante contributivo individuale e che sono stati versati dal
lavoratore e dal datore di lavoro sono
infatti da considerare, a tutti gli effetti, risparmio, forzoso, obbligatorio,
ma risparmio e vanno inseriti nella decisione di allocazione totale dei
risparmi del lavoratore. Tornando all’esempio di cui sopra un lavoratore che
percepisce poco più di 20mila euro annui ha un risparmio complessivo di circa
15mila, 10mila sotto forma di risparmio pensionistico obbligato e 5mila sotto
forma di risparmio volontario. Anche investendo tutti e 5mila gli euro di
risparmio volontario all’estero l’allocazione non rispecchierebbe l’intenzione
dell’investitore, 50 % Italia e 50 % estero, ma sovra peserebbe l’esposizione
in Italia, 2/3 in Italia e 1/3 all’estero.
2 – Cercare un Paese con maggiore affidabilità giuridica
L’Italia, e gli italiani, stanno perdendo la residua
affidabilità in termini di stabilità e certezza delle norme. Si sta cioè
creando una serie di tensioni volte a modificare o ad annullare le certezze dei
nostri genitori nel campo dei tanto vituperati “diritti acquisiti”. A sollevarmi
qualche dubbio non è tanto una attività normativa effettiva o solo annunciata
quanto le reazioni dei cittadini.
Per fare un esempio è di pochi giorni fa l’annuncio
dell’intenzione del legislatore di ricalcolare tutti i vitalizi in essere col
sistema contributivo. Verrebbe quindi del tutto annullato il concetto di
diritto acquisito per gli ex parlamentari, quanto poi questo annuncio si
tramuterà in misura effettiva resta da vedersi ma va sottolineato che
l’annuncio è stato accolto da un boato di tripudio dalla folla. Anzi le voci
critiche sono arrivate da coloro i quali ritenevano che tale misura fosse
comunque insufficiente. Attenzione però ad un punto spesso sottovalutato, il
concetto di diritto acquisito verrebbe superato, l’aggiunta ‘per i soli ex
parlamentari’ cadrebbe ovviamente nel giro di un istante estendendo tale
superamento, ovviamente, a tutti i cittadini italiani.
Ed è proprio questo il punto dolente, per i cittadini
italiani l’esistenza stessa dei diritti acquisiti è considerata un peso
insopportabile, ovviamente se i diritti acquisiti sono di altri. Il problema
principale è che ciascuno di noi è “gli altri” per il resto del Paese.
3 – Evitare prodotti troppo punitivi per i risparmiatori
Il nostro Paese ha un problema enorme in termini di
alfabetizzazione finanziaria, due studi citati recentemente dal Governatore di
Banca d’Italia collocano gli adulti italiani all’ultimo posto in Europa ed i
quindicenni italiani all’ultimo posto tra i Paesi Ocse come grado di
alfabetizzazione finanziaria. Il risultato
di tanta impreparazione è una patologica debolezza contrattuale che
spinge gli intermediari a proporre prodotti costosi e poco appetibili e i
nostri concittadini, ancor peggio, a sottoscriverli.
Se è questo che passa il mercato, perché non cambiare
mercato?
4 – Cercare rendimenti più elevati
I titoli di Stato italiani su scadenze brevi o medie pagano
interessi ridotti al lumicino e sono comunque un investimento certamente non
privo di rischi. I titoli azionari italiani pagano poco in più in termini di
rendimento, e di questi tempi costituiscono anch’essi un investimento
certamente rischioso. E allora perché investire in prodotti rischiosi se il
rischio che si corre non è adeguatamente retribuito?
5 – Debito pubblico
Come noto il debito pubblico italiano è a livelli molto
elevati, e già questo è un grosso problema. Ancora più grave è poi il fatto che
non si riesca ad aggredire in alcun modo questa montagna di debiti che è
sopravvissuta intonsa a un po’ di spending review, un po’ di aumenti delle
tasse, tante chiacchiere e poca lotta all’evasione. Stando così le cose
l’eventualità di un default del Paese è oggettivamente sempre dietro l’angolo.
Se scoppiassero i conti pubblici il risparmiatore che avesse deciso di
investire solo all’Estero almeno potrebbe contare sui propri risparmi per
appiccicare un pranzo e una cena al tavolo di famiglia.
6 – Duration
Strettamente legato al tema del debito pubblico l’aspetto
della sua duration merita certamente un punto tutto per sé. La duration del
debito pubblico italiano è infatti molto breve, poco più di 6 anni e mezzo, la
Grecia ad esempio ha una duration superiore ai 16 anni. Il dato italiano
comporta che una bella fetta del debito pubblico viene riproposto sul mercato
per essere rinnovato ed è così esposto ad un eventuale rialzo dei tassi di
interesse.
7 – Demografia
Un altro punto da valutare attentamente è il trend
demografico del nostro Paese, questa sorta di bomba ‘al rallentatore’ che
probabilmente svuoterà in maniera pesantissima le nostre città, le nostre
scuole e le fila dei pagatori di imposte e tasse. Vediamo qualche numero tanto
per comprendere la magnitudo della variazione. A gennaio 2016 eravamo circa
60,7 milioni di abitanti. Appena pochissimi anni fa, nel 2011, l’Istat
prevedeva una popolazione nell’anno 2065 compresa tra 53,4 e 69,1 milioni, con
uno scenario mediano che prevedeva 61,3 milioni di abitanti nel 2065, ovvero un
aumento limitatissimo di abitanti fino al 2065 era considerato lo scenario più
probabile.
Le medesime previsioni Istat nella versione più recente di
aprile 2017 recepiscono invece, tra l’altro, la riduzione delle nascite e
l’aumento dei decessi maggiori del previsto e danno una previsione nello
scenario mediano per il 2065 con una popolazione ad appena 53,7 milioni. 7
milioni in meno del 2016, una riduzione di oltre il 10 per cento della
popolazione.
E se lo scenario mediano dell’Istat è apocalittico tenete
conto che sul campo specifico l’Istat ha una storia recente di eccessivo
ottimismo. Ad esempio l’andamento reale
avvenuto tra il 2011 ed il 2017 ha battuto, al ribasso e in misura
sostanziosa, le previsioni dello scenario più basso precedenti. Le previsioni attuali
dello scenario basso al 2065 ci danno una popolazione ad appena 46,1 milioni
con una riduzione rispetto al 2016 di circa 14,6 milioni, quasi un quarto della
popolazione italiana odierna sparirebbe senza essere sostituita.
14,6 milioni di persone in meno.
Tanto per renderci conto di cosa significherebbe una
variazione di popolazione di tale intensità in un Paese come il nostro sappiate
che se si concentrasse nelle sole città maggiori corrisponderebbe alla totale
desertificazione, al totale svuotamento di tutte e 50 le città italiane che al
28 febbraio vantavano oltre 95mila abitanti. Diverrebbero completamente vuote
Roma, Milano, Napoli, Torino, Palermo, giù per la classifica fino ad Arezzo,
Udine, Cesena e Lecce. E chi dovrebbe pagare le tasse, le pensioni ed i titoli
del debito pubblico?
8 – Investire in Paesi per cui si possa prevedere una
crescita maggiore
Con l’immenso fardello di un debito pubblico mostruoso sulle
spalle, aggravato dal fatto che il debito stesso ha una duration tutto sommato
breve, con una bomba demografica che sta già esplodendo e con una popolazione
tra le meno istruite in Europa anche semplicemente immaginare che il nostro
Paese possa cominciare improvvisamente a crescere quanto, o quasi quanto, gli
altri Paesi del vecchio continente appare decisamente illusorio. E quando si
investe a lungo termine secondo voi è meglio investire in un Paese che sembra
destinato ad estinguersi o in un Paese che ha buone possibilità di avere grossi
tassi di crescita della propria economia?
9 – Crearsi un punto d’appoggio per la pensione o la fuga
Molti italiani hanno visto partire i propri figli per terre
lontane. Per studi o per i primi lavori si abbandona il nostro Paese con una
frequenza che ricorda il secondo dopo guerra, un esodo che si attesterebbe
oltre le 250mila persone annue. Se questo andamento non facesse segnare una
clamorosa, o miracolosa, inversione di tendenza ciò comporterebbe che dei
pochissimi nati in Italia negli ultimi anni ne espatrierebbe circa la metà (i
nati dagli anni 90 in poi sono poco più di 500mila annui con trend di forte
riduzione negli ultimi anni). Dove faranno l’università i nostri figli, a
Dublino? A Francoforte? E dove cominceranno a lavorare, a Lisbona? A Lione?
Potrebbe valere la pena di cominciare a ragionare in termini di mandare i
risparmi dove potrebbero servirci. E potrebbe essere degno di nota il fatto che
se si venisse a creare una situazione da SHTF nel nostro Paese, una apocalisse
finanziaria in salsa greca, avere un posto dove fuggire potrebbe essere
conveniente.
10 – Selezione della classe dirigente
Il decimo ed ultimo punto di questa lista è probabilmente il
punto in cui la responsabilità di noi cittadini è maggiore. Considerate
incapaci chi ci governa? Va bene, ma tenete presente che seppur indirettamente
li abbiamo scelti noi e siamo sempre noi a scegliere chi ascoltare, di chi
fidarci, chi eleggere in Municipio e chi ritenere bravo e preparato. Se noi
scegliamo male la nostra classe dirigente o i nostri riferimenti culturali
contribuiamo, in piccolo, in piccolissimo per carità, a costruire quel sistema
di cui ci lamentiamo tanto, contribuiamo a rafforzarlo, a farlo crescere e
renderlo impermeabile a sollecitazioni successive, tentativi di cambiamento,
tentativi di miglioramento.
Un esempio chiarirà meglio il concetto.
In Italia un docente universitario ha pubblicato un
approfondito confronto tra i costi della Corte Costituzionale italiana e della
omologa Corte Costituzionale inglese.
Questa persona non solo continua ad insegnare ma è stato
nominato commissario di Governo per la spending review.
Non ci trovate niente di strano?
Ecco appunto
Nessun commento:
Posta un commento