martedì 28 novembre 2017

La pensione statale forse è moribonda ed anche la regola del 4 per cento non sta tanto bene


La previdenza pubblica, la pensione statale, il celebre primo pilastro della previdenza individuale, minaccia sempre più di crollare, non tanto per un fallimento del nostro Paese quanto per la spinta sempre più forte ad un ricalcolo degli assegni in essere o a venire con il molto meno vantaggioso sistema contributivo.
Il primo pilastro non verrebbe quindi realmente raso al suolo ma ridotto di un importo compreso tra il 30 ed il 70 per cento. Ed è del tutto evidente che una persona che ritenga estremamente possibile una riduzione della propria pensione di tale entità dovrebbe incominciare a cercare strade alternative per mantenersi una volta espulso o ritirato dal mondo del lavoro. E chiunque si incammini sulla strada della saggezza e della previdenza individuale si imbatte, prima o poi, nella celebre regola del 4 per cento.

La responsabilità individuale nel prepararsi alla vecchiaia
In molti Paesi occidentali il mantenimento del proprio tenore di vita una volta raggiunta la terza età è considerata una responsabilità individuale. E’ cioè compito dell’individuo fare in modo di avere il necessario per sopravvivere una volta diventato troppo vecchio per lavorare. In alcuni paesi, ad esempio gli Stati Uniti, questa responsabilizzazione è indirizzata a tutti, tutti sono tenuti a pensarci per tempo, tutti lo sanno, chi decide di non pensarci non gode del minimo appoggio da parte di chi invece ci ha pensato. in altri Paesi, come l’Italia, lo sta diventando progressivamente, man mano che la quota di pensione calcolata col meno vantaggioso sistema retributivo, come previsto dalla Riforma Dini del 1995, diverrà maggioritaria l’assegno derivante dalla previdenza pubblica si assottiglierà sempre di più, fino ad arrivare ad un assegno di mera sussistenza. A quel punto sarà evidentemente 


tardi per inseguire una integrazione. A ciò va aggiunto il rischio, reale e realistico, che corrono tutti quelli che godono o godranno di una pensione almeno parzialmente calcolata col più vantaggioso sistema retributivo, quello del ricalcolo a contributivo.
La platea degli italiani che dovrebbero interessarsi alla propria pensione, cioè tutti nessuno escluso, si è così avvicinata a regole considerate auree e sagge della via del pensionamento. Tra queste regole una delle più intoccabili, importate direttamente dagli sfavillanti USA è quella del 4 per cento.

La regola del 4 per cento?  Un indicatore non ottimale
La regola del quattro per cento afferma che chi si ritira dal lavoro dovrebbe consumare non più del quattro per cento annuo del proprio capitale personale, ciò renderebbe estremamente remota la possibilità di terminare il capitale stesso prima di aver terminato i propri giorni su questa terra.
La norma è basata su uno studio del 1994 teso a determinare quale quota massima di percentuale del proprio portafoglio al momento dal ritiro dal lavoro, somma poi da adeguare all’inflazione negli anni successivi, consentirebbe ad una persona di non restare senza soldi in portafogli per almeno trenta anni.
Un esempio renderà tutto più semplice, ipotizziamo che una persona smetta di lavorare con 100mila euro investite e una pensione statale di 6000 euro annui.
Quanto potrebbe consumare questa persona dei propri risparmi, ovvero dei 100mila euro investiti? Secondo la regola del 4 per cento potrebbe assegnarsi una integrazione di 4mila euro annui che prenderebbe dalla somma investita, prima consumerebbe i dividendi dell’anno e poi limerebbe un po’ il capitale investito. Col passare degli anni avrebbe sempre meno dividendi e limerebbe sempre di più il capitale, fino a quasi azzerarlo prima di morire.
Naturalmente esistono una sfilza di effetti collaterali derivanti dalla situazione sopra descritta, a cominciare dall’assurdità di essere costretti a valutare come un rischio la propria sopravvivenza, se smetto di lavorare a 65 anni col 4 per cento potrei avere soldi per trenta anni ma devo pensare al rischio, sigh, di vivere oltre i 95 anni. Il problema però è che proprio la regola del 4 per cento è inadatta ad un risparmiatore italiano.

Uno studio include anche i dati storici italiani
Uno studio effettuato dal Professor Wade Pfau, che è una autorità in campo di programmazione del ritiro dal lavoro, ha incluso le serie storiche relative all’investimento in Italia, oltre che in un’altra ventina di Paesi, per capire quale sarebbe stata la percentuale di prelievo massimo dal proprio patrimonio per non restare senza un soldo entro trenta anni per i pensionati dal 1900 al 1979.
Investendo in Italia tale percentuale è un miserissimo 1,56 per cento.
Accettando un rischio del 10 per cento di restare senza soldi entro i trenta anni si può alzare il prelievo arrivando ad un altrettanto misero 2,61 per cento.
In soldoni il pensionando che ha messo da parte 100mila euro per integrare la propria pensione investendola in azioni e bond italiani può prelevare appena 2.610 euro annuali accettando inoltre un rischio del 10 per cento di restare senza un soldo entro il trentesimo anno.
Prelevando il mitico 4 per cento la percentuale di fallimento arriva addirittura al 62,5 per cento, i pensionati che hanno investito il proprio patrimonio in Italia ed hanno prelevato secondo la regola del 4 per cento sono rimasti senza un soldo entro trenta anni nel 62,5 per dei casi, nel 62,5 per cento degli anni iniziali del pensionamento, nel caso peggiore il fondo si è svuotato entro il sesto anno, cioè si è prelevato il 4 per cento annuo e si è finito tutto il sesto anno.
Con un prelevamento al 5 per cento la percentuale di fallimento arriva al 76,3 per cento. In tre anni su quattro i pensionati negli anni dal 1900 al 1979 che hanno adottato un prelievo del 5 per cento sono rimasti senza soldi entro il trentesimo anno, nel caso peggiore entro il quinto anno.

E quindi?
Secondo la mia umilissima opinione questi dati dimostrerebbero la assoluta superiorità del sistema pensionistico pubblico su quello privato e dovrebbero spingere a lottare per tenere o restaurare un assegno pensionistico pubblico adeguato.
L’Italia ed il mondo oggi la pensano però in maniera molto diversa e ritengono che i cittadini siano responsabili individualmente del proprio benessere nel corso della vecchiaia. In Italia ad esempio quando si andrà in pensione con assegni pari al 20 o al 40 per cento dell’ultimo stipendio è del tutto evidente che il tenore di vita dipenderà in misura sostanziale dagli altri introiti di cui sarà titolare il pensionando. Queste sono le regole e a queste bisogna adeguarsi.
Nella scelta di un consulente finanziario, oltre alla mai abbastanza reiterata raccomandazione sulla sua indipendenza, tenete quindi presente sulla base di quali dati vi prospetta le simulazioni. Se tira fuori la regola del quattro per cento fatevi spiegare perché utilizza proprio quel livello come quota di prelievo massimo dei risparmi, se non è in grado di spiegare in maniera chiara il motivo della sua scelta cambiate consulente. Subito.

In bocca al lupo







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