Molti ricordano i programmi pomposamente annunciati nel
corso della scorsa campagna elettorale di riduzione del numero dei parlamentari,
cui ha fatto seguito il dimezzamento del numero dei dipendenti della Camera.
Molti ricordano l’inizio di questa Legislatura come una
stagione di forti proteste e di reiterate richieste di tagliare la retribuzione
dei parlamentari, cui ha fatto seguito il taglio delle retribuzioni dei
dipendenti della Camera.
E molti vedono questa fine Legislatura come un periodo di
forti proteste e di reiterate richieste di tagliare i vitalizi dei
parlamentari, cui ha fatto seguito la soppressione del diritto a pensionamento
a domanda dei dipendenti della Camera.
La motivazione addotta per l’abrogazione del diritto è la
riduzione eccessiva del personale e l’assenza di procedure concorsuali per
l’assunzione di nuove unità.
Ma la modalità di blocco dei pensionamenti è molto interessante
e vale la pena di approfondirla, per il totale arbitrio con cui è stata
applicata ma soprattutto perché si tratta di una soluzione estensibile in
maniera agevole ad altri lavoratori.
La abolizione del diritto a pensione
La decisione assunta dall’Ufficio di Presidenza in materia
di pensionamento dei dipendenti della Camera ha affrontato la questione in
maniera davvero singolare. E’ stato infatti abolito il diritto a pensionamento
a domanda. Al suo posto il datore di lavoro o l’ente erogatore della pensione,
figure coincidenti in questo caso, hanno deciso quale sia il numero di
dipendenti che potranno accedere a pensione a domanda nel prossimo biennio. I
dipendenti parteciperanno cioè ad un concorso per smettere di lavorare i cui
vincitori saranno i lavoratori con maggiore anzianità contributiva. Una
soluzione estremamente interessante per diversi motivi.
Abolire il diritto ad una prestazione pensionistica
sostituendolo con il diritto ad essere inserito in una lista da cui verranno
pensionati solo i dipendenti con maggiore anzianità contributiva apre infatti
la porta ad una applicazione razionale e completa anche se assolutamente odiosa
del medesimo principio anche ad altri ambiti. Mentre infatti alla Camera il
diritto è stato abolito per motivi tutto sommato lievi, ovvero perché il datore
di lavoro aveva trascurato di iniziare le procedure di selezione, motivi ben
più solidi, come il disequilibrio dei conti del Paese, potrebbero portare a
soluzioni strettamente simili. L’idea emergente sarebbe la seguente, l’INPS
comunica quanti posti da pensionato si sono “liberati” e che variazione ciò
comporterà nel suo bilancio, cioè quanti titolari pensione sono deceduti e che
importi mensili non verranno più pagati. Lo Stato deciderà se utilizzare queste
somme per mandare altri in pensione in tutto o in parte o, aggiungendo risorse
al bilancio dell’INPS, se mandare in pensione persone in numero superiore ai
posti comunicati dall’INPS.
Tutto il gioco riuscirebbe a restare in piedi fintanto che
il numero dei posti che si liberano anno per anno resti al di sotto del numero
dei contribuenti che maturano il diritto a pensione di vecchiaia. A quel punto
sarebbe necessario far saltare anche il diritto al pensionamento di vecchiaia.
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