Molti pensano che alla Camera dei deputati sia stata applicata in pieno la riforma Fornero delle pensioni, cosa che porterebbe a una certa vicinanza delle età medie di pensionamento dei dipendenti Camera e dei contribuenti INPS. Vicinanza che non esiste affatto.
Due sono le cause che ritengo possibile identificare come responsabili della differenza tra l'età media di pensionamento alla Camera e tra i contribuenti INPS, la prima è la struttura premiale della retribuzione Camera, sapere che tra due anni si percepirà un aumento seppur piccolo di stipendio potrebbe infatti spingere a restare al lavoro ancora un po'. Dall'altro lato c'è l'esistenza di requisiti ulteriori rispetto alla Fornero per accedere a pensione.
sabato 19 dicembre 2015
giovedì 17 dicembre 2015
Barberia della Camera dei deputati. Titoli di coda?
Da fonti giornalistiche apprendo che la barberia della Camera sembrerebbe destinata alla chiusura.
Repubblica in particolare ha pubblicato qui una analisi del perché verrebbe chiusa la barberia.
La notizia ha riscosso un certo interesse anche sui media e merita un ragionamento.
1) Visto che la stragrande maggioranza dei dipendenti della Camera non ha accesso alla barberia, che viene utilizzata invece da parlamentari, membri del governo e giornalisti, la chiusura non cambia assolutamente nulla per chi alla Camera ci va a lavorare. La chiudono o no, ai dipendenti importa veramente poco.
2) Il costo complessivo dei dipendenti è lordo e personalmente sono convinto che quando si parla del costo di un dipendente pubblico si debba ragionare in termini di netto. Mi spiego, il costo complessivo di consumi, manutenzioni e di SETTE barbieri ammonterebbe, secondo i dati resi pubblici da Repubblica, a circa 500 mila euro annui. Ipotizziamo che quasi tutti siano da addebitare ai dipendenti, facciamo 450mila annui a cui corrispondono circa 250mila netti. Lo Stato trasferisce 450mila euro alla Camera per pagare questi stipendi e ne reincassa 200mila in tasse, e quindi l'esborso reale per questi stipendi a carico della della collettività resta fermo a 250mila euro, poco meno di 36mila euro annui per ciascun barbiere della Camera. A cui vanno aggiunti gli altri 50mila per consumi e manutenzioni arrivando ad un costo totale di circa 300mila euro.
A fronte di questi costi si hanno incassi per poco meno di 100mila euro annui, il che lascia un disavanzo di circa 200mila euro annui.
Ma ci sono altre soluzioni per raddrizzare i conti della barberia?
Pur ricordando come alla quasi totalità dei dipendenti Camera dell'esistenza in vita della barberia non gliene importi un fico secco sono emersi dalle chiacchiere ai tavoli della mensa, si a pranzo non si parla di pallone, due soluzioni principali alternative alla chiusura del servizio di barberia.
La prima è puntare all'aumento degli incassi ad esempio aprendo il servizio a tutti. Turisti e cittadini avrebbero quindi quindi la possibilità di una messa in piega o di barba e capelli in questo locale storico ai medesimi prezzi dei parlamentari. Ci si è addirittura spinti a proporre un periodo di prova di un anno per verificare la risposta del pubblico all'offerta.
La seconda è di dare in affitto il locale ad un coiffeur, in fondo l'incasso attendibile da parte di chi volesse aprire la propria bottega a Montecitorio è noto, i già citati 100mila euro annui scarsi, e la Camera potrebbe incassare qualcosa dal servizio invece di spendere.
Resta però da segnalare la simpatica faccia di bronzo con cui Repubblica smentisce se stessa. Secondo l'autore, come già detto, il costo complessivo di consumi, manutenzioni e di SETTE barbieri ammonterebbe a circa 500 mila euro annui, a luglio 2014 lo stesso giornale attaccava gli stipendi della Camera titolando "136mila euro al barbiere" e a quanto mi risulta 7 per 136mila fa MOLTO più di 500mila,
Ps Riservato ai giornalisti di Repubblica. 7 per 136mila fa 952mila. L'oscura operazione utilizzata per questo ardito conteggio si chiama moltiplicazione
Repubblica in particolare ha pubblicato qui una analisi del perché verrebbe chiusa la barberia.
La notizia ha riscosso un certo interesse anche sui media e merita un ragionamento.
1) Visto che la stragrande maggioranza dei dipendenti della Camera non ha accesso alla barberia, che viene utilizzata invece da parlamentari, membri del governo e giornalisti, la chiusura non cambia assolutamente nulla per chi alla Camera ci va a lavorare. La chiudono o no, ai dipendenti importa veramente poco.
2) Il costo complessivo dei dipendenti è lordo e personalmente sono convinto che quando si parla del costo di un dipendente pubblico si debba ragionare in termini di netto. Mi spiego, il costo complessivo di consumi, manutenzioni e di SETTE barbieri ammonterebbe, secondo i dati resi pubblici da Repubblica, a circa 500 mila euro annui. Ipotizziamo che quasi tutti siano da addebitare ai dipendenti, facciamo 450mila annui a cui corrispondono circa 250mila netti. Lo Stato trasferisce 450mila euro alla Camera per pagare questi stipendi e ne reincassa 200mila in tasse, e quindi l'esborso reale per questi stipendi a carico della della collettività resta fermo a 250mila euro, poco meno di 36mila euro annui per ciascun barbiere della Camera. A cui vanno aggiunti gli altri 50mila per consumi e manutenzioni arrivando ad un costo totale di circa 300mila euro.
A fronte di questi costi si hanno incassi per poco meno di 100mila euro annui, il che lascia un disavanzo di circa 200mila euro annui.
Ma ci sono altre soluzioni per raddrizzare i conti della barberia?
Pur ricordando come alla quasi totalità dei dipendenti Camera dell'esistenza in vita della barberia non gliene importi un fico secco sono emersi dalle chiacchiere ai tavoli della mensa, si a pranzo non si parla di pallone, due soluzioni principali alternative alla chiusura del servizio di barberia.
La prima è puntare all'aumento degli incassi ad esempio aprendo il servizio a tutti. Turisti e cittadini avrebbero quindi quindi la possibilità di una messa in piega o di barba e capelli in questo locale storico ai medesimi prezzi dei parlamentari. Ci si è addirittura spinti a proporre un periodo di prova di un anno per verificare la risposta del pubblico all'offerta.
La seconda è di dare in affitto il locale ad un coiffeur, in fondo l'incasso attendibile da parte di chi volesse aprire la propria bottega a Montecitorio è noto, i già citati 100mila euro annui scarsi, e la Camera potrebbe incassare qualcosa dal servizio invece di spendere.
Resta però da segnalare la simpatica faccia di bronzo con cui Repubblica smentisce se stessa. Secondo l'autore, come già detto, il costo complessivo di consumi, manutenzioni e di SETTE barbieri ammonterebbe a circa 500 mila euro annui, a luglio 2014 lo stesso giornale attaccava gli stipendi della Camera titolando "136mila euro al barbiere" e a quanto mi risulta 7 per 136mila fa MOLTO più di 500mila,
Ps Riservato ai giornalisti di Repubblica. 7 per 136mila fa 952mila. L'oscura operazione utilizzata per questo ardito conteggio si chiama moltiplicazione
Etichette:
Barberia della Camera,
Camera vista muro; Stipendi dei dipendenti di Montecitorio,
Pubblico impiego; Sindacato
Ubicazione:
Rione III Colonna, Roma, Italia
venerdì 11 dicembre 2015
Pensioni. L’Istat pubblica numeri che sembrano negare tutto
Si va in pensione più tardi e
si vive più a lungo, e col passare del tempo si andrà in pensione sempre più
tardi e si vivrà sempre più a lungo. Ce lo hanno ripetuto talmente tante volte
che diamo questi due dati per scontati, per evidenti. Sono delle verità
lampanti e secondo molti connazionali esistono delle ‘verità’ talmente lampanti
che nessuno sano di mente si prenderebbe, o si dovrebbe prendere, la briga di
andarle a verificare. Secondo chi vi scrive non esistono verità che non vadano
verificate e talvolta arrivano cifre che incrinano certezze monolitiche in cui
ci rifugiamo con una certa soddisfazione. Stavolta siamo andati a verificare
questi due dati su cui molti basano ragionamenti talvolta complessi e che
potrebbero avere un grosso impatto sul futuro di noi tutti.
venerdì 6 marzo 2015
Le ideologie nascoste dietro alle scelte politiche
E’ evidente che l’azione normativa, la produzione delle
leggi, tende a favorire, direttamente o indirettamente, determinati gruppi
sociali a scapito di altri. Un Parlamento che decida di aumentare le entrate in
una certa misura farà una precisa scelta ideologica che porterà a reperire
questi fondi in una determinata maniera. E’ infatti evidente che per i
cittadini non sarà indifferente la modalità scelta dallo Stato per incassare,
se alzerà le imposte sui redditi più elevati colpirà solo quei cittadini che
sono titolari di quei redditi, se aumenterà le imposte sul patrimonio diverso
dalla prima abitazione colpirà solo chi è titolare di più immobili e se alzerà
l’aliquota impositiva dei redditi più bassi prenderà soldi da tutti colpendo in
particolare i redditi meno elevati, e più numerosi.
Anche le scelte dello Stato in materia di spesa pubblica non
sono praticamente mai prive di una connotazione ideologica, ad esempio porre
una parte delle spese del trasporto urbano a carico della fiscalità generale
avrà una funzione redistributiva del reddito ponendo a carico di chi possiede
un reddito elevato, ed una elevata tassazione, una quota del trasporto urbano
indipendentemente dall’effettivo utilizzo e favorendo così il titolare di un
reddito basso che potrà utilizzare i bus e le linee metro pagando solo una
parte del costo effettivo.
Ma non è sempre facilissimo comprendere appieno quali sono i
risvolti più squisitamente ideologici delle norme adottate soprattutto se le
norme vengono ignorate dai cittadini, a cominciare proprio da coloro i quali
vengono danneggiati dal contenuto ideologico insito nelle norme stesse e preferito
dal legislatore.
La norma che favorisce i rentier a scapito degli affittuari
Una norma piuttosto singolare è, ad esempio, contenuta nel
cosiddetto “Sblocca Italia”, il Decreto n.133/2014 convertito in legge, la
n.164/2014.
In estrema sintesi con questa norma viene istituita una
agevolazione fiscale piuttosto consistente a favore di chi acquista un
appartamento allo scopo di affittarlo, in particolare il soggetto privato che
acquisti un appartamento che rientri come certificazione energetica nelle
classi A o B da un’impresa che lo ha costruito o ristrutturato potrà godere di
una deduzione dal reddito pari al 20% del prezzo pagato per l’acquisto
risultante dall’atto di compravendita o delle spese di costruzione, con un
limite di 300 mila euro a patto che l’immobile sia fittato a canone concordato
o convenzionato per 8 anni.
Perché questa norma?
Etichette:
Crisi,
Manovra; Debito pubblico; Bce; Rating
Iscriviti a:
Post (Atom)