E’ ormai in dirittura d’arrivo l’approvazione degli atti che
‘normalizzeranno’ il trattamento dei dipendenti della Camera dei deputati,
rendendo il contratto Camera un modello da esportare ad altri lavoratori.
Alcuni punti meritano un approfondimento.
Abolizione del diritto di sciopero
Il diritto di sciopero cesserà, di fatto, di esistere. E non
essendo stato effettuato alcuno sciopero negli ultimi decenni l’insistenza su
questo punto è evidentemente ricompresa nella creazione di un modello da
esportare.
In particolare la norma in via di approvazione prescrive che
“le modalità di esercizio del diritto di sciopero devono escludere ogni
pregiudizio al pieno espletamento delle funzioni parlamentari”.
Quindi eventuali scioperi dovrebbero essere organizzati in
maniera tale da non impattare in alcun modo sulle funzioni parlamentari in
senso ampio, sia direttamente che indirettamente. Ad esempio uno sciopero
proclamato per la domenica, in presenza di una scadenza emendamenti il venerdì
precedente, diverrebbe illegale in quanto impatterebbe sul lavoro domenicale dei
colleghi che dovrebbero lavorare gli emendamenti per la seduta del lunedì. Un
caso raro? Forse, ma nel corso del 2015 il numero di domeniche in cui non ha
lavorato nessun dipendente della Camera è zero.
Bavaglio ai dipendenti
Con la nuova normativa ai dipendenti della Camera sarà
proibito dare qualsiasi tipo di informazione o comunicazione relativi a
provvedimenti o attività di qualsiasi natura di cui sia venuto a conoscenza a
causa del suo ufficio, o in occasione del proprio lavoro o connessi all’Istituzione
e all’Amministrazione.
Stante il tenore letterale della norma, che proibisce
sostanzialmente tutto, se vi perdete nei vicoli del centro di sera e chiedete
ad un passante, incidentalmente un dipendente della Camera, dove sia Piazza di
Monte Citorio potreste sentirvi rispondere che gli è fatto divieto di fornire
queste informazioni.
E inoltre, se un parlamentare o un giornalista decidesse di
inventarsi di sana pianta una allegra fresconeria, una di quelle grosse, tipo “La
House of Commons costa meno della Camera dei deputati” o “I dipendenti della
Camera hanno più ferie del pubblico impiego” non sarebbe più possibile tirare
fuori i consuntivi o i dati per smentirli in quanto si violerebbe questa
simpatica norma.
Accettazione delle dimissioni
Viene istituito il diritto del datore di lavoro a tenere in
servizio il personale contro la propria volontà, seppur per un periodo di tempo
limitato (per ora).
La nuova normativa prevede infatti che le dimissioni dall’impiego
(attenzione si parla di dimissioni non di pensionamento, ovvero di dimissioni
per andare presso un nuovo datore di lavoro) hanno effetto dal momento della
loro accettazione con decreto del Presidente della Camera.
L’accettazione può essere eccezionalmente ritardata, per un
periodo di tempo non superiore a tre mesi.
Dal momento dell’accettazione delle dimissioni del
dipendente decorrerà quindi il periodo di preavviso, nel mio caso, ad esempio,
di sei mesi. Quindi tra la presentazione delle dimissioni e la risoluzione del
contratto potrà passare un tempo variabile tra i 6 ed i 9 mesi, a scelta
unilaterale del datore di lavoro.
Un caso raro? Forse ma il gruppo di persone assunte con l’ultimo
concorso per Assistente parlamentare è stato letteralmente decimato dalle
dimissioni.
Nessun commento:
Posta un commento