venerdì 24 febbraio 2012

Breve intervista a un ex deputato che si ribella alla riforma del vitalizio

Il tema è certamente d’attualità, la lotta alle varie caste è diventato un mantra che negli ultimi anni accompagna ogni passo ed ogni idea che sia stata lanciata nel nostro Paese, e a sentire i più maliziosi più che accompagnarle quelle idee le sostituisce; la lotta alla casta supplisce in qualche modo alla totale mancanza di proposte vere fungendo da diversivo. Ci si rimpalla grandi proclami ben memorizzabili e racchiudibili in brevi slogan pressoché privi di senso.


Tagli alla politica per 5 miliardi, no per 10 e a Piazza Montecitorio c’è anche chi nella frenesia di spararla così grossa da essere sicuro di non poter essere superato chiede tagli alla politica per 100 miliardi di euro all’anno.

Poi talvolta qualcosa viene fatto come ad esempio è stato fatto con la riforma dei vitalizi dei parlamentari. Riforma che progressivamente ha portato il diritto dei singoli parlamentari ad un vitalizio sempre più difficile da raggiungere, godibile più tardi e di importo minore.

Esistevano certamente norme di spudorato favore che hanno consentito la maturazione di ricchi vitalizi con poco o punto impegno da parte del fortunato titolare, ma tali norme erano già state ampiamente superate e al 2011 si raggiungeva l’agognato traguardo con almeno 5 anni di onorato servizio da onorevole alle spalle ed al raggiungimento dell’età di 65 anni, età che poteva scendere fino a 60 anni per chi avesse prestato più di 5 anni al servizio dell’Istituzione parlamentare

Ed il numero degli anni di durata in carica aumentava anche l'importo dell'assegno che variava da un minimo del 20 per cento a un massimo del 60 per cento dell'indennità parlamentare, dai circa 1.000 ai circa 3.000 euro mensili.

Tutto ciò è stato ulteriormente superato con una ennesima riforma semplicisticamente etichettata come “Contributivo per i deputati”.

Personalmente ritengo ed ho sempre ritenuto che è limitato e limitante pensare agli anni di carica di un eletto come gli unici anni in cui questa persona lavora, generalmente non si diventa deputati o senatori per caso ma a quel seggio ci si arriva al termine di un percorso personale molto articolato e che può durare anche molti anni. Un percorso che può prevedere ricche carriere da professore universitario o da avvocato, da medico o da giornalista, ma che può anche essere intrapreso da persone che fanno i politici di professione.

Che questo sia un male o un bene generalmente viene lasciato decidere alle coscienze individuali ma su questo punto mi capita di fare spesso la medesima riflessione. Io non mi rivolgerei mai ad un medico che di professione faccia il  geometra al catasto e nel tempo libero si dedichi gratuitamente e con immensa nobiltà d’animo alla missione della medicina, vorrei che chi mi cura sia dotato della massima professionalità possibile; allo stesso modo vorrei che chi decide dei destini e del futuro del paese, e di chi dentro al paese ci sta e ci resterà, incluso me e la mia famiglia, lo faccia con piena cognizione di causa e non per impiegare proficuamente il proprio tempo libero.

Abbiamo quindi fatto quattro chiacchiere con un ex deputato di Alleanza Nazionale che si è ribellato a questa ultima riforma, Daniele Franz, un politico di professione nel senso più nobile del termine, ovvero una persona che ha fatto della politica la sua occupazione principale.

Franz è uno di quelli, e sono davvero molti, che alla politica ci si è dedicato, tanto che a differenza di altri suoi colleghi e a dispetto della sua formazione giuridica non ha mai esercitato la professione di avvocato.

Oggi fa parte di quella pattuglia di persone che, prive di una pensione da docente universitario o da avvocato, da giornalista o da funzionario dello stato, si vede togliere il traguardo del vitalizio da sotto il naso e fa causa.

D. Perché hai deciso di impugnare la riforma del sistema dei vitalizi della Camera dei deputati?

R. I principi fondanti di un atto che, anche politicamente, in un momento buio come quello che sta vivendo oggi la nostra democrazia, è tanto impegnativo sono due.

Da una parte è la difesa del principio dell’affidamento, il Paese, molto più che la Camera dei deputati, ha preso degli impegni precisi nei confronti di un gruppo ristretto di propri cittadini, creando delle aspettative. Aspettative che non in tutti i casi sono eccessive. Il secondo principio è che l’atto normativo non si è limitato a modificare le norme d’accesso dell’istituto del vitalizio ma ne hanno sostanzialmente modificato la natura, trasformandolo in qualcosa di differente.

D. Trasformazione che però riguarda un numero ristretto di persone….

R. E però ciò che può essere già grave per una ristretta pattuglia di persone è ancor più grave perché costituisce un precedente. Se domani verrà imposta la medesima sorte a tutti coloro che oggi applaudono a quanto è accaduto a noi il cittadino come potrà difendersi?

D. Il compenso per gli eletti, l’indennità ed un vitalizio hanno ancora senso come garanzia di indipendenza dei deputati?

R. Assolutamente si. Il rischio è di avere deputati che legiferano in funzione del posto di lavoro che stanno cercando o che hanno già trovato, non come rappresentanti del popolo ma come dirigenti in pectore dell’azienda da cui avranno uno stipendio una volta smessi i panni politici, a maggior ragione se si decidesse di portare avanti la proposta di estendere l’elettorato passivo ai diciottenni. La possibilità di ritrovarsi un Parlamento censitario in cui vengano sovra rappresentati o, peggio, rappresentati esclusivamente arzilli vecchietti, signori benestanti ed impiegati pubblici è reale

D. Tra le soluzioni che si erano ventilate c’era quella di trasformare il vitalizio, anche a chi già ne gode, in una sorta di “reddito minimo”. Hai già la pensione da professore universitario o da avvocato, allora non ti viene erogato nulla, sei stato “solo” un politico allora incassi.

R. Il problema è tutto in questo punto, noi stiamo discutendo serenamente con l’ottica di cercare una soluzione, in questo momento ed in questo Paese aprire una normale e serena discussione su alcuni punti sembra impossibile.

D. Questo a causa del tanto astio nei confronti della politica e dei politici? Ma da dove arriva tutto questo livore?

R. Non solo per questo. E’ venuto a mancare un ecosistema in cui ci si possa confrontare, l’identificazione di un nemico simbolico distrae dai problemi reali del Paese. Anche l’ondata di antipolitica può essere stata causata certamente da un momento di profonda crisi non solo economica ma non possiamo certamente dimenticare un momento di tensione democratica che ha svuotato di rappresentatività alcune istituzioni. Aggiungiamoci infine che c’è stata gente che della lotta alla casta ne ha fatto un mestiere oltremodo redditizio ed il cerchio si chiude.

D. Non si uscirà dalla crisi in un giorno, quali potrebbero essere i provvedimenti per far ripartire l’Italia e riavvicinare rappresentanti e rappresentati?

R. Il punto di partenza è nel superare questo bipolarismo di scontro frontale e ritrovare una dialettica tra le parti. Le regole fondanti di un paese vanno comunque assunte al termine di una fase di confronto, oggi invece ci si scontra solo per lo scontro in sé, con risultati talvolta paradossali e che si potrebbero definire, a seconda dell’umore, tragici o comici, basti pensare al fiorire di riforme del’Istruzione che si sono succedute a distanza di pochi anni, ciascuna imposta a colpi di maggioranza e superata prima ancora di averne potuto valutare validità, efficacia ed effetti. Bisogna mettere insieme, anzi rimettere insieme, i cittadini e lavorare per fare oltre ed altro. Mettere sullo sfondo radici profondamente ideologiche, senza però cancellarle, per lavorare tenendo presente l’obiettivo più che la storia e la cronaca.

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